Violenti, arrabbiati e stressati. Pronti a seguire le modalità tipiche del branco. E’ l’analisi dei ragazzi di oggi, sempre più coinvolti in risse, fatta da Vincenzo Gesualdo, presidente dell’Ordine degli psicologi di Puglia. Che accende in riflettori su una condizione, spesso, poco nota anche agli stessi genitori: “Bambini, preadolescenti e adolescenti sono i soggetti che hanno subìto le maggiori ripercussioni durante la pandemia. Il loro naturale e fisiologico bisogno di relazioni reali finalizzate alla conoscenza di sé e dell’altro sono stati spazzati via da centinaia di ore dietro gli schermi controllati da docenti e genitori in un contesto nel quale solo la performance ha costituito un valore. Moltissimi hanno mollato. Si presume che. circa 200.000 ragazzi abbiano abbandonato la scuola”.
Una fragilità alimentata dalla precarietà assistenziale e dalla mancanza di prospettive che nessuno dei punti di riferimento (scuola, famiglia, politica) è riuscita finora ad indicare: “I mesi chiusi in casa, la convivenza forzata, una vera e propria condizione di cattività hanno amplificato – aggiunge – uno stato di tensione e stress che da alcuni ragazzi è stato introiettato e rivolto contro sé stessi procurando un innalzamento esponenziale di situazioni depressive, comportamenti autolesivi, suicidi e tentati suicidi. Da altri adolescenti invece è stato agito contro gli altri alimentando risse ed aggressioni con le modalità tipiche del branco”.
C’è una via d’uscita? “Abbiamo bisogno di recuperare spazi di condivisione e di ascolto, territori di comunità e solidarietà” conclude Gesualdo. “Abbiamo bisogno di presidi sul territorio per l’accoglienza del disagio e della sofferenza a partire dalla scuola e dalla famiglia dove occorre riconquistare la semantica del contatto, della vicinanza, dell’abbraccio in una sorta di un rinascimento del valore della affettività e delle relazioni in cui l’altro non è il nemico da combattere o il soggetto da bullizzare ma chi permette di costruire la propria identità nella differenza e nella diversità come valori e non come stigma”.