Da questa mattina in corso Vittorio Emanuele è presente una panchina gialla, il colore che ricorda il dovere di rispettare i diritti umani. L’iniziativa è stata promossa come simbolo di giustizia per Giulio Regeni, ricercatore italiano morto al Cairo dopo l’arresto da parte delle autorità egiziane, e per chiedere l’immediato rilascio di Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna ancora detenuto nelle carceri egiziane.
L’installazione della panchina gialla è avvenuta alla presenza dell’assessore al Welfare Francesca Bottalico e di Amnesty International Bari, gruppo 070. Un gesto simbolico che ricorda la necessità di non abbassare la guardia sul tema dei diritti umani e di tutti i prigionieri di coscienza incarcerati ingiustamente in ogni parte del mondo.
“Questa panchina è un simbolo, come tanti attraversano la nostra città, che vuole tenere viva la coscienza su questioni che non possiamo dimenticare – ha commentato Francesca Bottalico. D’altronde anche questo è il nostro ruolo di amministratori pubblici: fare in modo che di certe cose si parli, portarle all’attenzione del consiglio comunale e della cittadinanza, stimolare il confronto nelle scuole e nei luoghi della formazione, costruire memoria. Il mio auspicio è che, da oggi, chiunque si siederà su questa panchina gialla possa ricordare la tragica morte di Giulio Regeni, la lunga prigionia di Patrick Zaki incarcerato ingiustamente a causa delle sue idee, e tenere viva l’attenzione sulle ingiustizie e le violazioni dei diritti che continuano a consumarsi in tutto il mondo”.
Sono moltissimi, infatti, gli uomini e le donne privati della propria libertà, imprigionati e torturati solo per aver espresso opinioni politiche o per il loro lavoro in favore dei diritti umani: Patrick Zaki e Giulio Regeni sono fra questi, e negli ultimi anni sono diventati dei simboli internazionali della lotta ai reati d’opinione e dell’affermazione della libertà di ricerca, studio e informazione.
Zaki è uno studente egiziano del Master in Studi di genere dell’Università Alma Mater di Bologna, fermato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020: da allora è incarcerato ingiustamente con l’accusa di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Regeni, invece, era un dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Il corpo presentava evidenti segni di tortura; ancora oggi, però, non si conosce la verità sul caso. Amnesty International, sia a livello mondiale sia a livello nazionale e locale, si è subito attivata per fare luce sul caso.