L’Italia campione d’Europa una metafora di vita. E c’è anche un pezzo di Bari

La favola più bella per distacco, da tramandare di generazione in generazione. Un sogno, più che un obiettivo. Il tutto al termine di un mese intenso e ricco di emozioni, intensità, sorrisi, entusiasmo ma anche sofferenza. Questo è stato Euro 2020 per l’Italia: un’impresa storica per il nostro calcio, senza precedenti e nonostante avendo già all’attivo un altro europeo e ben quattro mondiali. Perché battere in finale l’Inghilterra a casa sua, a Wembley, contro tutto e contro tutti è un giant-killing di proporzioni pazzesche nella storia del calcio. Secondo, forse, solo a quello dell’Uruguay al Maracana contro il Brasile: parliamo del lontano 1950, ai mondiali.

Dall’Apocalisse all’Apoteosi. Questa è la storia con lieto fine di un brutto anatroccolo che soltanto tre anni fa, contro la Svezia, mancava una ‘banale’ qualificazione ai mondiali di calcio. Aggettivo appropriato per una nazionale che li ha sempre disputati. Con un gruppo invecchiato, privo di qualità, brutto, svuotato di idee e soprattutto disunito. Ma che in breve tempo è riuscito a riprendersi quel ruolo di prim’ordine che, nel calcio, ha quasi sempre avuto. E’ un cerchio che si chiude per mister Mancini, che 29 anni fa in quello stesso stadio aveva perso in maniera beffarda una finale di Coppa dei Campioni con la Sampdoria con l’amico-collega Vialli. Un abbraccio caloroso e ricco di commozione quello tra di loro, intriso di significati e genuinità. Il mister ha centrato l’impresa più grande della sua carriera da allenatore: l’unico a crederci sin dall’inizio, l’unico pronto a scommettere sulle qualità di ragazzi in qualche caso sottovalutati. Nessuna stella, ma un grande Gruppo comunque dotato. Sono stati sotto gli occhi di tutti il talento di Donnarumma – saracinesca tra i pali – l’estro di Chiesa (è lui il vero asso nella manica), le geometrie di Jorginho (già campione europeo col Chelsea), Barella o Verratti. Per non parlare degli scatti di Spinazzola, rimpiazzato adeguatamente dal bravo Emerson Palmieri. O magari i ‘tiri a giro’ di Insigne. A Napoli qualcuno lo chiama ‘Lorenzo il Magnifico’ e forse non è un caso. Il cammino è stato entusiasmante: scioltezza e disinvoltura nella fase a gironi, caparbietà, sofferenza e qualità in quella ad eliminazione diretta. Sempre sul pezzo, dall’inizio alla fine. Ogni successo è stato ricercato attraverso il gioco e da queste parti è una bella novità. E la sensazione è che si possa migliorare ancora.

E’ una vittoria che ci ripaga per le sofferenze dell’ultimo decennio, almeno per qualche giorno: sul piano calcistico certamente, ma anche su quello sociale e morale. Può essere una bellissima iniezione di fiducia per tutto il paese, per ripartire anche dopo una pandemia che lo ha messo in ginocchio. E’ soprattutto una lezione di vita: Mancini ci ha dimostrato che con il coraggio, la forza delle idee, la perseveranza nel raggiungere un obiettivo…nulla è davvero impossibile in questa vita. Ed a volte si può persino pensare di bruciare le tappe. Gli italiani, da sempre, riescono a tirar fuori il meglio di sé proprio nei momenti più difficili: è stato cosi per i nostri bisnonni, nonni e genitori. Deve essere così anche in futuro, in tutti i campi della vita.

E’ una vittoria che al suo interno vede anche un po’ di Bari del recente passato. Nell’organico azzurro spiccano infatti Gaetano Castrovilli (di Minervino Murge, dopo Causio il secondo pugliese a vincere qualcosa con la nazionale) e Leonardo Bonucci. Il primo è stato un talento della Primavera biancorossa a metà del decennio appena trascorso, approdato poi in prima squadra mostrando qualità niente male ma senza riuscire a rimanere alla corte di Stellone (il grande rimpianto della stagione 2016/17, in B). Il secondo, invece, fu sorpresa e rivelazione del Bari di Serie A, annata 2009/10: grinta, sfrontatezza, carattere e tecnica erano dalla sua parte già da allora che era poco più che ventenne. Dal biancorosso in poi la sua carriera è stato solo un crescendo. Ed è giusto che sia stato cosi: vincere una competizione europea era l’unica cosa che gli mancava.

Diceva la sigla di un noto programma tv: il gioco è, che per follia, non sempre il re (anzi, la regina…) col tesoro va via. Così la coppa è tornata a Roma dopo 53 lunghi anni: grazie ragazzi.

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