Il volontariato riparte. Sì, utilizziamo di proposito un ossimoro per sottolineare come il terzo settore abbia ricoperto un ruolo fondamentale in questo lunghissimo periodo di pandemia. E, allora, sarebbe più corretto dire che ripartono i grandi eventi pubblici, dopo un anno di stop: ieri a Monopoli, in piazza XX settembre, si è tenuta l’edizione 2021 di “Volontariato in spiaggia”, storico evento organizzato dal Csv “San Nicola” nella città costiera a sud di Bari, dedicato alla memoria di Giovanni Montanaro, ex direttore del Centro servizi al volontariato, scomparso due anni fa.
“Portare avanti un progetto come il nostro in questi mesi di pandemia, facendo dunque a meno del contatto umano e degli appuntamenti in presenza, è stato particolarmente difficile. Sono venute meno le condizioni basilari delle attività di volontariato, che potrebbero essere riassunte nel termine ‘vicinanza’. Eppure non ci siamo mai fermati, abbiamo lavorato sodo superando ogni difficoltà e ogni distanza. Ne siamo usciti più forti e probabilmente più consapevoli”. Così ha commentato Rosa Franco, presidente del Centro servizi al volontariato “San Nicola”, centrando il punto focale: il volontariato e tutto il terzo settore non hanno potuto permettersi di tirare i remi in barca durante il dramma del Covid, rimodulandosi per non far mancare il loro apporto determinante. Non è un vano esercizio retorico, è la nuda e cruda verità.
Le associazioni, lo si è ripetuto come un loop durante questi mesi, hanno tenuto in piedi il tessuto sociale del paese, i volontari sono stati (e continuano a essere) la spina dorsale di un sistema che con il virus ha gettato la maschera e ha scoperto tutte le sue fragilità. I volontari hanno portato la spesa a chi non poteva uscire di casa durante il lockdown, hanno assistito gli indigenti colpiti ancora di più dalla crisi, hanno prestato la loro opera nelle operazioni di protezione civile, hanno coordinato il servizio d’ordine nei centri vaccinali. Il mondo del volontariato si è dovuto adeguare alle nuove modalità “a distanza” anche per portare a termine le attività di sostegno psicologico e morale a chi ha vissuto i vari lockdown nel tragico limbo della solitudine. E, soprattutto, le associazioni ci hanno informati tanto dell’acuirsi delle vecchie povertà, quanto del dilagare dei nuovi disagi sociali.
Insomma, il Covid ha messo a nudo una realtà: il volontariato è la colonna portante di uno Stato che – per scelta prima ancora che per incapacità – preferisce ragionare in termini di assistenzialismo “in emergenza” invece che dotarsi di un welfare organico, sul modello “rooseveltiano” post crisi del 1929. “Le istituzioni da sole non ce la fanno”, ha avuto modo di dire il sindaco Antonio Decaro in molteplici occasioni, ammettendo implicitamente una falla che in un sistema-paese non dovrebbe esserci; pena il venir meno al “contratto” sottoscritto con i cittadini, per dirla con Rousseau.
Bene, abbiamo il volontariato che “tappa i buchi”; ora è tempo che lo Stato faccia un passo verso il terzo settore. A cominciare dall’esigenza sempre più pressante di semplificazione: il mare di bandi a cui un’associazione deve partecipare – ad esempio – per ottenere in gestione un bene confiscato alla mafia, e poi renderlo operativo con attività sul territorio, è un groviglio burocratico che corre il rischio di “far passare la voglia”. Certo, le nove linee guida ministeriali sui rapporti fra enti del terzo settore e pubbliche amministrazioni (ce ne siamo occupati qui) un po’ chiariscono le modalità con cui procedere, ma non è minimamente abbastanza. I volontari devono essere esperti di progettazione, devono essere giurisperiti, devono saper maneggiare gli strumenti informatici; abilità fondamentali, beninteso, ma che cozzano con un volontariato sempre più anziano e che fa fatica ad attirare i giovani.
Il Csv Bari e la rete dei Csv italiani (gravati di ancora più compiti e competenze con il codice di “riordino” del terzo settore) svolgono un lavoro preziosissimo, mettendo a disposizione delle Odv formazione, consulenza nella progettazione, assistenza legale, servizi di comunicazione e promozione, ma è innegabile che tutto il sistema sia pensato non nell’ottica di rendere più agevole l’attività del volontariato. Un fiume di burocrazia nel nome della trasparenza e della pubblicità, che scoraggia nuove iniziative solidali e paralizza quelle vecchie, di cui pure lo Stato non può privarsi per mandare avanti la sua macchina sociale.
Un cortocircuito tutto italiano, su cui si spera la pandemia abbia fatto luce. Al “fascino” dell’illegalità che divampa nei momenti di crisi socio-economica più acuta possiamo rispondere solo con la cittadinanza attiva e la solidarietà: in questi mesi il volontariato non si è mai fermato e ha continuato a fare la sua parte, è ora che anche lo Stato faccia la sua.