Secondo una delle interpretazioni più attendibili, la parola ‘carnevale’ deriverebbe dal latino carnem levare, “eliminare la carne”: a questo provvedeva il banchetto del martedì grasso, prima del periodo di astinenza della Quaresima. Un’altra ipotesi interpreta il verbo levare non nel senso di ‘togliere’ ma ‘esaltare’ la carne, mangiarne il più possibile, meglio se grassa come quella del maiale, ad esempio, sempre in vista della penitenza quaresimale, imprescindibile per comprendere la natura e lo spirito del Carnevale.
Dal 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, al martedì grasso: queste le date in cui il calendario cristiano ha “costretto” la festa del travestimento e del caos generale. Alla Chiesa non piaceva la consuetudine pagana del mascheramento che coinvolgeva diversi periodi dell’anno e, attraverso la maschera, rievocava il mondo dei morti; peggio ancora, la consuetudine delle maschere zoomorfe con cui gli uomini, indossando pelli di animali o corna, negavano l’idea stessa dell’uomo creato a immagine di Dio.
Il carnevale ha tuttavia origini molto lontane e legate ai riti propiziatori della fecondità della terra: già nell’antica Roma si festeggiavano solennemente i Saturnali, riti in onore di Saturno, antico Dio romano, il cui nome, dalla forma satum del verbo serere, significherebbe appunto dio “dei campi perfettamente seminati”.
Celebrata prima a ridosso (17-20 dicembre) poi a cavallo del solstizio d’inverno (17-23 dicembre con Domiziano), la festa inaugurava l’inizio di un nuovo anno agricolo e l’arrivo della primavera dopo il freddo inverno.
Il dio Saturno era per i romani il dio dell’età dell’oro, età mitica e felice in cui gli uomini godevano dei frutti spontaneamente nati dalla terra, non conoscevano la necessità del lavoro ed erano tra loro tutti uguali: tutto questo veniva celebrato con i sacrifici, i banchetti e le strenne dei Saturnalia.
Semel in anno licet insanire, una volta all’anno era concesso impazzire, proprio perché durante i Saturnali le gerarchie sociali venivano ribaltate e così i nobili potevano essere derisi e gli schiavi potevano considerarsi liberi.
Anche il poeta Orazio, proprio durante questa festività, si faceva rimproverare dallo schiavo Davo in una delle sue satire: «Elogi tanto la vita e i costumi del popolo antico ma se un dio ti ci riportasse, ti opporresti in tutte le maniere…».
Cambiare classe e abbattere barriere. Si faceva quello che durante l’anno era vietato perché andava contro l’ordine stabilito: grazie alla maschera si cambiava identità, si poteva restare nell’anonimato ed essere davvero sé stessi.
Anche in questo il mondo pagano ha tracciato il cammino: nascono nell’antica Roma la farsa Atellana e le maschere fisse antenate di quelle della Commedia dell’arte: Maccus, lo sciocco; Pappus, il nonnetto avaro e libidinoso, Dossennus, astuto, avido e arcigoloso; Kikirrus, una maschera teriomorfa che ricorda da vicino Pulcinella, maschera napoletana del servo pigro, sfrontato e chiacchierone.
Ancora oggi, quando festeggiamo il carnevale ci travestiamo vestendo le maschere più famose: Arlecchino, maschera bergamasca del servo molto sciocco e infedele al suo padrone; Balanzone, maschera tipica bolognese, un dottore burbero e chiacchierone che si fa credere sapiente ma è solo un truffatore; Colombina: serva chiacchierona e furba della tradizione veneziana, fedele alla sua padrona Rosaura; Pantalone, il mercante vecchio e brontolone della tradizione veneziana, dedito al denaro e al commercio, succube delle donne di casa.
Infine Farinella, emblema del carnevale putignanese: nasce negli anni ‘50 per mano di Domenico Castellano, prendendo il nome dalla farina di orzo e ceci tostati prodotta in paese. A ricordare gli aspetti e le classi più umili, della vita e della società. Come il Carnevale: semel in anno…
Simona Achille 3AC Liceo Simone – Morea, Conversano