ORGOGLIOSAMENTE FIGLIO DI UNA DONNA “DIVERSA”

Oggi non fa più tanto rumore, ma ventitré anni fa sì. 

Essere una donna soldato era difficile, non erano mai state aperte le porte delle caserme alle donne e immagino che farsi spazio in un ambiente fino a quel momento completamente maschile non fosse tanto semplice.

Mia madre fu una di quelle donne che nell’ormai lontano anno 2000, sfidando le ire di mia nonna, contraria alla sua (come l’ha sempre definita) scellerata scelta, partecipò al primo concorso Donne bandito in Italia per l’ingresso nelle Forze Armate, prima da Volontario in Ferma Breve e poi come Ufficiale all’Accademia Militare di Modena.

A mia madre non è mai piaciuto restare ferma, è diventata aeromobile, è andata in Kosovo, in Iraq, in Polonia, in Giordania e su tanti campi in territorio nazionale; è stata Militar Police ed ha partecipato a Strade Sicure con interventi anche per il terremoto dell’Emilia.

Quando chiedo a mia madre di vedere le sue foto o di raccontarmi qualcosa di quel periodo, riesce a trasportarmi così tanto che mi sembra di rivivere con lei le sue missioni, le sue sensazioni, le sue emozioni. C’è una frase però che le pongo da sempre e alla quale non mi risponde mai, neanche ora: “Hai mai sparato?”, “Hai mai ucciso qualcuno?”. L’unica frase che è sempre uscita dalla sua bocca è stata: “Bisognava sempre pensare che sarebbe stato meglio un cattivo processo che un buon funerale”. Insomma ha sempre detto tutto e niente.

Sono sempre stato orgoglioso; quando da bambino la vedevo all’uscita di scuola, in divisa, mi brillavano gli occhi e gridavo indicandola. All’inizio qualcuno mi prendeva in giro dicendomi che non era Carnevale, ma io mi arrabbiavo e puntualizzavo che quella era mia madre ed era un militare. Era una gioia per me andare in caserma con lei, salire sui mezzi, ascoltare la radio gracchiare con le richieste di intervento, parlare con i suoi colleghi e vedere le tante medaglie presenti in quell’ufficio.

Non è stato però un periodo facile quello, mia madre lavorava a Bologna, la vedevo andare via ogni domenica sera e tornare, se andava tutto bene a causa dei cambio turni, il venerdì. All’inizio sembrava fosse un gioco, poi però cominciò ad essere pesante; cominciai a stare male, a non mangiare volentieri, i miei nonni raccontano che non dormivo più neanche la notte e le maestre dell’asilo erano disperate per i miei comportamenti.

Non potevamo trasferirci a Bologna, mio padre lavorava qui ed era impossibile spostare la sua azienda: doveva inventarsi qualcosa mia madre.

Chiese allora di poter essere trasferita perché stavo male, ma le fu negato; chiese così di poter vedere riconosciuti i diritti della maternità ai sensi di un articolo (art. 42bis D.Lgs. 151/200) che le avrebbe permesso di essere trasferita a Bari per almeno tre anni; non ci dormiva le notti per trovare un modo che ne permettesse l’applicazione: cercava precedenti di altri colleghi, ma non ce n’erano; chiunque avesse provato a richiederlo era finito congedato. Ricordo però ancora le sue urla quando le arrivò la risposta: “Le norme della maternità e della paternità non si applicano al personale militare”. Fu in quell’occasione che vidi mia madre combattere davvero; non ero nato quando andò in guerra, ma lì c’ero, vedevo e sentivo, soprattutto quando il suo Comandante al telefono le disse di scegliere tra l’essere madre e l’essere soldato perché le due cose insieme “non si sposavano”. La risposta urlante di mia madre ancora mi rimbomba: “Quando lo Stato ha chiamato io l’ho servito, ora sono io che chiedo sostegno e lo avrò!”.

Mia madre è ed è sempre stata così, decisa nelle cose sue…

Con il suo legale ha condotto la prima battaglia in Italia che ha portato, dopo tante udienze in Tribunale, a Bologna, a Roma, a Bari, all’applicazione della “Legge Di Luzio” (così la chiamavano a quel tempo): “a tutto il personale, maschile e femminile, si applicano le norme a tutela della maternità e della paternità previste per il pubblico impiego.” Fu ed è ancora una vittoria per i tantissimi genitori che intraprendono la carriera militare.

Mia madre ora è a Bari, ha un pochino ridimensionato la sua vita ma ha fondato un’associazione con la quale aiuta i militari che hanno bisogno di un trasferimento per motivi familiari o che comunque hanno bisogno di un sostegno.

Questa è la mia mamma: un Soldato Italiano.

Andrea Rinaldi, I.C. “G. Mazzini – G. Modugno” di Bari –  Classe  2F 

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