La mancanza in Italia di una schiera di analisti politici della tempra di Naom Chomsky, Gilbert Doctorow, Chas Freeman, John Mearsheimer, ha fatto sì che nessuno si sia posto nel Bel Paese il problema del vero significato della visita a Roma dell’ex capo della diplomazia cinese, Wang Yi ( che occupa oggi la più alta carica del partito comunista cinese nelle relazioni internazionali) e delle ragioni in base alle quali egli abbia visitato in Europa anche (e soltanto) Parigi, Budapest, Mosca e (e quasi per un “contentino”) Berlino, prima di partecipare alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza.
E’ significativo, ai fini della difficoltà di sforzarsi di comprendere ciò che ci sta accadendo e potrà accaderci, che nessuno abbia collegato tale visita alla scadenza nel 2023 del Memorandum cosiddetto della “via della seta”; anche se le parole in tal senso di Wang, omesse nei resoconti del sistema mediatico (per non creare problemi all’atlantismo meloniano, gradito agli U.S.A.) sono state esplicite nel ribadire l’interesse della Cina al progetto.
Ora che gli Stati Uniti d’America siano contrari alla prospettiva di sviluppo di un mercato che rischia di mettere in crisi il loro potere egemonico in Occidente (e non solo) è del tutto comprensibile.
Più difficile capire il timore e il silenzio italiani, condivisi da tutti i partiti dello schieramento politico italiano, compatto, senza eccezioni e senza perplessità, sul fronte della difesa dello status quo, id est dell’egemonia statunitense.
Storicamente l’apertura della “via della Seta” è di gran lunga anteriore alla scoperta dell’America; è avvenuta durante la dinastia Han nel primo secolo a.C.
E’ a quei tempi che risalgono i primi, intensi scambi commerciali tra la Cina e l’Occidente. Furono i nostri antenati Romani a incrementare, dopo la sua apertura, gli acquisti di seta (tessuto molto usato da uomini e da donne dell’Urbe).
Naturalmente v’era diffidenza per quel popolo lontano che si dichiarava esplicitamente più disposto a vendere che non a comprare.
E non è probabilmente un caso che, da quel che si è appreso, il signor Wang Xi, per correggere quell’impostazione commerciale dei suoi avi antichi, ha insistito sull’interesse di Pechino ad incrementare l’importazione di prodotti italiani oltre che a promuovere investimenti comuni nel settore green e nel digitale.
Al silenzio di tutte le forze politiche su un’ipotesi non amata dagli Stati Uniti, si aggiunge un altro dato sconcertante che rimanda la memoria agli anni che favorirono l’avvento del Ventennio Mussoliniano.
Non è agevole capire se alle violenze degli “anarchici” (a Torino la devastazione di negozi ed auto ha raggiunto punte impressionanti) si aggiungeranno presto le intemperanze della Sinistra “unita” e dei Sindacati.
Il riproposto e insistito sventolio di bandiere rosse con la falce e il martello in piazza Santa Croce a Firenze per salutare la neo segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein (Chi l’ha voluta veramente? E perchè?) non sembra promettere nulla di buono. E non di certo per un possibile preludio a un ritorno di fiamma degli sconfitti alle ultime elezioni ma per il suo contrario: un rafforzamento (e gli Italiani sanno quanto pericoloso!) dei vincitori.
La presenza nei posti di comando del Paese dei post-fascisti potrebbe aprire, con l’aiuto di occulti “fiancheggiatori,” il varco a uno Stato di Polizia, certamente non nuovo nelle abitudini politiche degli Italiani. La simpatia diffusa per le truppe neo-naziste degli Azov e la condivisione (nascosta) della violenza repressiva dello Zelensky del 2014 non sono, certamente, di buon auspicio.
LUIGI MAZZELLA