Possono esserci tanti modi per “raccontare la pace”, anche attraverso un uomo che ha sacrificato la sua vita in nome di questo valore così importante e in nome di altri non meno significativi, quali l’accoglienza, l’integrazione, la giustizia, il coraggio. Si tratta di Don Pino Puglisi al quale lo scrittore Alessandro d’Avenia ha dedicato il libro “Ciò che inferno non è”. La storia è ambientata in Sicilia, precisamente a Palermo dove vive Federico, un diciassettenne iscritto all’ultimo anno di liceo classico. È un ragazzo timido, insicuro di sé e amante della letteratura; si pone continuamente domande sull’esistenza e sul futuro. Alla fine della scuola gli si presenta l’occasione di partire per una vacanza-studio ad Oxford, che è da sempre il sogno della sua vita. I suoi progetti però cambiano quando incontra l’insegnante di religione Padre Pino Puglisi, detto 3P, un uomo mite e buono che non sopporta l’ingiustizia e la combatte pacificamente, senza rabbia né vendetta, ma solo con la tolleranza, il sorriso, la perseveranza. Egli è sempre pronto a soccorrere il prossimo, a spendere una parola buona, a consigliare, a stare vicino soprattutto ai più fragili e agli emarginati. Convince Federico a recarsi con lui nel suo quartiere, Brancaccio, per aiutarlo con i ragazzi del centro di accoglienza “Padre Nostro”. Qui il giovane conosce una realtà che gli è completamente ignota, ma allo stesso tempo così vicina, fatta di zone e strade dominate da crimini, prostituzione, inganni, minacce ed atti disumani, ma anche di bontà e di generosità, che cercano in qualche modo di affiorare. In questo nuovo ambiente Federico prova sulla sua pelle la crudeltà della mafia e la maleducazione dei ragazzi del quartiere fra i quali Francesco, Totò e Riccardo, all’apparenza forti e sicuri di sé, ma infondo fragili, bisognosi di affetto e desiderosi di una vita diversa. Viene a contatto con individui pericolosi come “Madre Natura”, capo del giro della malavita e i suoi sottoposti il “Cacciatore”, “Nuccio”, “U Turco”, ai quali spetta il lavoro sporco. Tuttavia Federico è sostenuto da tante persone che lo spronano a rialzarsi, ad andare avanti e a non arrendersi, fra cui Lucia, la ragazza forte e determinata, di cui si innamora, e suo fratello Manfredi con il quale ha un buon rapporto. Il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo 56° compleanno, Don Puglisi viene assassinato a Palermo per mano di “Cosa Nostra”, una mano violenta e vigliacca che lo sorprende alle spalle sparandolo alla nuca dinanzi al portone di casa. Ma insieme a Don Pino non muore il desiderio di porre fine a tutta la malvagità presente nel suo paese, né quello di preservare la parte di bene che vive all’interno dei più piccoli: queste speranze vengono lasciate in eredità a Federico e ai seguaci del sacerdote.
Crediamo fortemente che la giustizia non possa essere zittita dalla violenza della mafia che senza alcuno scrupolo guadagna sul dolore delle persone adescando anche i soggetti più deboli, i bambini. Purtroppo l’omertà di tanta gente che sa, ma che per paura o indifferenza tace, girando la testa dall’altra parte, lascia via libera al male. Don Puglisi con la sua vita e soprattutto con il sacrificio di essa ha urlato al mondo che la serenità, la concordia, l’armonia, non sono un’utopia, ma sogni realizzabili attraverso il coraggio di agire con forza e determinazione, senza mai rimanere impotenti. Ce lo ha raccontato a scuola anche Christian Di Domenico con il suo spettacolo “U parrinu, la mia storia con Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia”, che mette in luce proprio gli insegnamenti che don Pino ci ha lasciato in eredità: il valore del perdono, il coraggio, l’ascolto di sé e dell’altro. Nessuno meglio di lui è più adatto a “raccontare la pace” con la sua vita, ma ancor di più con la sua morte, ricordando ad ogni uomo che dove c’è pace l’inferno non può arrivare.
Davide Ceci, 4ASA, Liceo “E. Amaldi” di Bitetto