Pensieri di…futuro

L’accoglienza verso lo straniero, quella che i Greci chiamavano xenìa e consideravano “sacra”, sembra aver perso importanza col passare del tempo.   Corrono tra gli italiani ideologie razziste e atteggiamenti vergognosamente ostili verso rifugiati e migranti che ogni giorno rischiano la propria vita nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa in cerca di un futuro migliore.

Eppure, accanto ad atteggiamenti di ordinaria ostilità verso il fenomeno delle migrazioni, sbocciano realtà di tutt’altro segno che brillano di luce propria: una luce che significa… solidarietà.

“…Bisognerebbe rendere obbligatoria questa esperienza, ognuno di noi deve sperimentare che laltro è una ricchezza, senza chiedersi se è bianco o nero…” afferma la Prof.ssa Illuzzi che, insieme alla  sua famiglia, ha accolto in casa Alhassane. È la primavera del 2019, l’idea nasce al marito Ezio che legge sul  Venerdì de “la Repubblica”:  “Refugees Welcome arriva a Bari!”. Parole come “immigrazione” e “accoglienza”, allora come oggi, fanno tremare le poltrone di chi è al governo, ma la famiglia Turturro è pronta a mettersi in gioco e invia subito una mail all’associazione; viene da questa  contattata e incominciano gli incontri per verificare se ci sono i requisiti per l’accoglienza. Dopo un caffè con i volontari dell’associazione e con Alhassane, ogni timidezza crolla, emozioni e passioni bruciano contemporaneamente. Nel luglio del 2019 Alhassane ha finalmente un domicilio: entra nella famiglia Turturro e la vita riprende a scorrere nella sua solita quotidianità. Sono poche e insignificanti le modifiche che si apportano per il rispetto reciproco: niente insaccati, rispetto assoluto per le pratiche religiose altrui; per il resto, le giornate sono scandite da abitudini comuni: andare a scuola, uscire la sera con gli amici, alzarsi tardi la domenica mattina.

Le “malelingue” non si tengono a freno: un ragazzo adulto che entra in una casa in cui c’è una ragazza… E poi i soliti luoghi comuni: “aiutiamoli a casa loro” o, addirittura, “rimandiamoli a casa”. Però, se si fa un‘esperienza fuori dal comune, bisogna mettere in conto questo tipo di reazioni. Sorprende che Alhassane non abbia mai difficoltà con i suoi pari e appaia sereno e sempre più integrato con i suoi coetanei, così come risulta inspiegabile il silenzio della chiesa locale e dell’amministrazione comunale. C’è questa strana dicotomia: o si è molto aperti o assolutamente chiusi, non c’è una via di mezzo…

Ma chi è Alhassane? Noi l’abbiamo incontrato.

Nato in Niger e cresciuto in Ghana, a seguito di problemi familiari ha attraversato l’Africa per poi salpare dalle coste libiche alla volta dell’Italia. Nella sua terra natale la vita era ed è difficile, la Libia è scossa dalla guerra ed il viaggio è stato decisamente rischioso e drammatico.

Ci chiediamo: come si può rimanere indifferenti di fronte alla storia di un ragazzo che intraprende un percorso così duro perché ha cari i suoi sogni e, soprattutto, la sua stessa vita?  Come si può dire “chiudiamo i porti” davanti a storie di disperazione e croci piantate nella sabbia per ricordare fratelli, tanti, troppi, che il mare non restituirà più? “Di difesa della razza ne abbiamo già avuta una e ci è bastata” ha affermato di recente Michele Serra, e come non condividere il suo pensiero?

Il sostegno di una famiglia “vera” è stato ed è tuttora fondamentale per Alhassane che ha completato gli studi presso l’Istituto professionale “Don Tonino Bello” di Molfetta diplomandosi come Operatore Socio-Sanitario, ha conseguito il titolo dopo un corso di formazione ed oggi lavora come operatore sociale presso “Casa della Cultura” aiutando le persone che, come lui, sono arrivate in Italia senza conoscere la lingua.

Immagina il suo futuro qui, a Bari, anche se un giorno forse tornerà in Ghana per rivedere i suoi fratelli più piccoli con cui non hai mai interrotto i rapporti.

Migrare non è una decisione facile da prendere, la nostalgia per la propria terra è tanta così come tante sono le difficoltà da affrontare. I migranti non vengono in Italia per “rubare il lavoro” a noi, ma perché, quasi sempre, non hanno alternative. Perché negare loro questa sacrosanta possibilità? Non siamo di passaggio anche noi, tutti migranti verso un futuro migliore?

 classe 3^B, Liceo scientifico “Galileo Galilei”, Bitonto

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