Keli, così si chiama il nostro amico nigeriano, 4 anni fa ha affrontato la mortale traversata dalle coste libiche a quelle italiane riuscendo a salvarsi. Non è stato un viaggio di piacere: minacce, insulti, botte e solo grazie all’idea di una nuova vita è riuscito a superare il periodo di carcerazione libica a la traversata nel mediteranno, approdando finalmente in Italia.
Keli ha vissuto in diversi centri di accoglienza ma si è fatto subito ben volere e da quando è a Bari la sua presenza si fa sentire. Pensate che da qualche anno Keli pulisce e ripulisce interi tratti stradali cittadini. Scopa il marciapiede, raccoglie gli escrementi che i nostri concittadini baresi dimenticano di raccogliere e, quando può si trasforma in giardiniere e cura il verde cittadino.
Keli non vuole e non crede di sentirsi un immigrato ingrato, anzi vuole dare il suo contributo alla città di Bari che lo ha adottato e perciò ogni mattina, si aggira per le strade cittadine e contribuisce. Così fa comodo vero!?!?
Molti baresi ci hanno segnalato la presenza e i servizi che Keli ci rende, per ultimo è arrivata la segnalazione del sig. Antonio Lepore il quale ci dice: « Ogni giorno da qualche anno ormai questo ragazzo della Nigeria sta offrendo questo servizio di pulizia infestanti e rimozione polloni e succhioni nelle aiuole e alberi della nostra città in cambio di qualche moneta. Lavora senza sosta sotto il sole e con pochi mezzi a disposizione. Vorremmo ringraziarlo per quello che fa e sperare che venga assunto con un regolare contratto affinché continui a fare questo lavoro in maniera dignitosa».
Bene signori se vale la regola che dobbiamo accogliere gli immigrati e introdurli nella nostra comunità questo è il momento giusto. Magari qualche imprenditore potrebbe aprirgli la porta della sua azienda, magari potrebbe essere, i nostri Keli, un vero valore aggiunto. Chissà, intanto è bene che la comunità si muova, non è da paese civile lasciare per strada un immigrato che fa un lavoro dove i nostri “lavoratori autoctoni” vengono profumatamente pagati.
Franco Marella