L’arte: una forma di ribellione

Giuseppe Fiorentino è un artista originario di Giovinazzo. Quando aveva circa 13 anni, ha iniziato a sperimentare l’arte attraverso graffiti e murales, con l’intento di lasciare un segno, dedicandosi poi a materiali come carta, tele, cartoni.

Lei si è trasferito da Giovinazzo a Roma: questo trasferimento è avvenuto per ragioni personali o artistiche?

“Io non vivo di arte, mi sono spostato per lavoro. Ho vissuto parecchi anni in Nord Italia e mi sono stabilito a Roma da una decina di anni. Fondamentalmente però l’arte non è il mio lavoro: faccio l’impiegato. L’influenza della mia arte viene da diversi fattori: esperienze di vita, personali e non. Non seguo una corrente, non ho studi accademici; si potrebbe dire che vengo dal “fai da te”, dalla strada, come si diceva ai miei tempi”.

Perché utilizza i cartoni per le sue opere?

“La mia è un’idea di ribellione: il cartone è un materiale povero, si trova ovunque. Ho cominciato a dipingere sui cartoni di Amazon vivendo a Roma, che è una città fantastica, ma al contempo degradata, specie nelle borgate: la raccolta dei rifiuti non funziona, così si creano enormi accumuli di spazzatura e i cartoni di Amazon fanno da padroni. Chiunque può passarvi davanti e prendere un cartone come quelli che utilizzo io. Uso il cartone di Amazon perché la mia è una piccola protesta, volta a mandare un messaggio”.

 

Amazon è la prima multinazionale ad aver superato nel 2020 il trilione di dollari (386,1 miliardi). Quello di Fiorentino, pur “nel suo piccolo”, come dice lui, è un messaggio di disagio: mentre i signori di Amazon accumulano alti profitti, la gente comune tira avanti. I disegni stessi, oltre al materiale, rappresentano il divario fra ricchi e poveri. “Ci sono i campi rom e la Roma dei Parioli: questa forbice fra ricco e povero si allarga sempre di più.”

Quindi lei trae ispirazione dalla quotidianità.

“Certo, dalle borgate, come a Roma si chiamano i quartieri meno agiati”.

Quali sentimenti prova mentre dipinge?

“Bella domanda! Per me la pittura è soprattutto uno sfogo. Avrei voluto fare il liceo artistico, ma mio padre disse la solita frase ‘Di arte non si vive, devi fare un’altra cosa’. Non sapendo cosa scegliere, ho seguito la massa e ho fatto il geometra all’istituto Pitagora. In quella scuola, l’80% degli alunni non voleva nemmeno essere lì. Dipingendo provo rabbia, perché da piccolo non sono stato capace di ribellarmi, indietro non si può tornare e non avrò mai l’opportunità di tornare sui miei passi e scegliere la scuola che avrei voluto frequentare; ma il sentimento principale è gioia infinita: ora sono libero, disegnando posso esprimere ciò che voglio. Provo rabbia per il passato e gioia per il presente”.

Il messaggio finale di Giuseppe è per noi ragazzi: se siamo veramente convinti dei nostri sogni riusciremo a realizzarli, e dobbiamo impegnarci il più possibile per farli diventare realtà, anche quando gli altri ci ostacoleranno e diranno che non possiamo farcela.

Angela d’Ambrosio, Lucia Losacco – 2A – Liceo Classico “Q. Orazio Flacco” di Bari

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