Giustizia malata, ma anche Giustizia enigmatica, sempre più difficile da comprendere.
Dall’inchiesta sull’ex gip De Benedictis sta emergendo un quadro dai toni cupi: gli aggiustamenti di alcuni processi, nel Tribunale di Bari, andrebbero avanti da dieci anni, si legge sulle cronache quotidiane. Lo avrebbero detto, nel 2012, due collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni – all’epoca coperte da una valanga di omissis – avrebbero tirato in ballo altri magistrati in servizio presso il distretto della Corte di Appello di Bari. E per questo sarebbero (condizionale d’obbligo) state inviate alla Procura di Lecce per gli approfondimenti del caso.
La domanda spontanea è: i verbali, resi davanti ai pm Desiree Digeronimo e Federico Perrone Capano, hanno raggiunto la Procura di Lecce oppure no? E in tutti questi anni (dieci) i riscontri sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sono stati effettuati? A che esito hanno portato? Interrogativi legittimi ai quali finora mancano le risposte. Che tutti aspettiamo. Possibile che siano stati tirati in ballo anche “amici” che lavoravano (o lavorano) al Comune, in grado di far avere ad un personaggio di spicco della criminalità barese come Mino Fortunato, carte di identità per viaggiare all’estero a chi non poteva viaggiare e non sia successo nulla? L’amico, cioè, ha continuato a lavorare, magari lavora ancora, sempre al servizio dei clan? Oppure si sta godendo una pensione, di certo immeritata? Le verifiche, i controlli a chi toccava farli? E se non sono stati fatti, perché?
Se si vuol fare pulizia davvero e restituire fiducia ai cittadini, non basta sollevare il tappeto per nascondere la polvere. C’è la necessità di un’approfondita opera di disinfestazione: la credibilità ha bisogno di certezze. La sfiducia dei cittadini – è bene ricordarlo – viene alimentata anche dagli insostenibili tempi lunghi della risposta della Giustizia.